Aspettando la riapertura del corridoio vasariano

Aspettando la riapertura del corridoio vasariano

In attesa della riapertura del Corridoio vasariano prevista per il 2021, ripercorriamo insieme storia, vicende e aneddoti del famoso passaggio costruito nel 1565 da Giorgio Vasari per Cosimo I dei Medici

Firenze, aprile 2020. Scritto ai tempi del Covid-19. Che sia di buon auspicio per tutti noi.

Nell’ottobre del 2016 il Corridoio vasariano fu chiuso al pubblico perché ritenuto inagibile ai visitatori per motivi di sicurezza, in quanto non dotato di impianti di climatizzazione, uscite di emergenze, servizi essenziali necessari alla fruizione ed essendo privo di sistemi di accessibilità per disabili. Oltretutto le collezioni esposte lungo entrambe le pareti del corridoio, costituite in larga parte da quadri provenienti dal lascito mediceo, si trovavano in condizioni precarie, subendo da decenni  i forti sbalzi di temperatura e cambi di umidità nel corso dell’anno che pregiudicavano seriamente le loro condizioni di conservazione. 

Va detto che solo in tempi recenti il corridoio era divenuto una quadreria, per volontà di alcuni direttori della galleria degli Uffizi, tra i quali Luciano Berti, ma non era stato concepito per questo, e in tutta l’epoca medicea e a seguire lorenese, aveva sempre costituito una via di collegamento sicura tra palazzo Pitti, gli Uffizi e Palazzo Vecchio, senza ambizioni di funzioni di rappresentanza o di esposizione di pezzi pregiati delle collezioni (i luoghi a ciò deputati erano infatti la galleria degli Uffizi e la reggia di Pitti), ragion per cui non deve sorprenderci più di tanto lo svuotamento del corridoio per l’apertura al pubblico prevista nel 2021, in quanto esso tornerà a essere quello che era in origine, come giustamente sottolineato dal direttore Eike Schmidt.  Tra l’altro già alcuni anni fa si era iniziato a spostare quadri dal corridoio per esporli agli Uffizi, come le opere dei  caravaggeschi, e a breve sarà aperta la nuova sezione dedicata agli autoritratti.

Il corridoio offre inediti scorci sulla città di Firenze, essendo dotato di ben 73 finestre. Sarà accessibile dall’ala di ponente degli Uffizi, e i visitatori potranno scegliere tra un biglietto che comprende anche palazzo Pitti, accedendovi dal rondò di Bacco, oppure il giardino di Boboli, con entrata  accanto alla grotta del Buontalenti. Si potrà dunque prenotare un biglietto cumulativo attraverso i canali ufficiali di vendita delle gallerie fiorentine, e l’accesso sarà consentito a piccoli gruppi scaglionati per un totale massimo di 125 persone per volta.

Cenni storici

Il duca Cosimo I dei Medici comprò nel 1550 il palazzo Pitti nel quartiere di Santo Spirito, e si apprestava a trasferirsi con la famiglia e la corte nella nuova residenza. O meglio, la moglie spagnola Eleonora da Toledo, grazie alla sua ricca dote, aveva acquistato la proprietà, nutrendo il desiderio di abitare una dimora più agiata dotata di ampio giardino e lontana dal chiasso della vita cittadina. La coppia viveva infatti già da anni a Palazzo della Signoria, nel cuore della città, ma la duchessa amava gli spazi aperti e con la sua numerose prole non riteneva sufficientemente confortevole gli spazi fino ad allora a loro riservati. Inoltre la sua salute cagionevole avrebbe beneficiato di aria pulita e passeggiate nel parco all’aperto. La coppia infine non abitò mai a Palazzo Pitti. Per troppi anni il palazzo rimase un cantiere aperto, essendo sottoposto ad ambiziosi lavori di trasformazione in reggia. Tuttavia il duca commissionò al suo architetto e pittore di fiducia, l’aretino Giorgio Vasari, la costruzione di una via di collegamento, chiusa e privata, in posizione sopraelevata, che desse l’opportunità di raggiungere velocemente, in totale sicurezza seppure non accompagnati dal corpo di guardia, il palazzo Pitti da palazzo della Signoria, passando attraverso gli Uffizi.

Correva l’anno 1565, una data importante, quella del matrimonio del primogenito Francesco, erede del titolo, con Giovanna d’Austria, della casata d’Asburgo, unione politica che avrebbe rinforzato l’alleanza con l’imperatore del Sacro romano impero germanico.

La coppia avrebbe vissuto stabilmente a palazzo Pitti. Furono organizzati spettacolari festeggiamenti, si dette un nuovo volto alla città con la costruzione del ponte Santa Trinita, la fontana del Nettuno in piazza della Signoria, e la rapida costruzione, in ben solo cinque mesi, del corridoio vasariano.

Il percorso del corridoio presenta un primo breve ponte coperto su via della Ninna, tra palazzo della Signoria e gli Uffizi, e sfruttando l’edificio stesso degli Uffizi continua al suo interno, per poi uscirne e fiancheggiare l’Arno; una volta raggiunto il Ponte Vecchio, passa al di sopra delle sue botteghe e si snoda poi attraverso gli edifici preesistenti, aggirando la torre dei Mannelli, e sotto forma di cavalcavia supera via dei Bardi e si addentra in torri e case per poi passare sulla facciata della chiesa di Santa Felicita, prima di tornare a essere galleria chiusa ed arrivare finalmente a Pitti. In tempi brevi il Vasari portò a termine i lavori, dimostrando ancora una volta la sua innata intraprendenza e le sue capacità nel dirigere abilmente squadre di muratori e capimastri. Dal libro delle Ricordanze, scrive il Vasari: ‘in men di cinque mesi cose che non si credeva che si conducessi in cinque anni; costò scudi undicimila’.

La torre dei Mannelli

Durante la progettazione del corridoio per il duca, Vasari si trovò a dover affrontare un ostacolo, un imprevisto che finì col diventare aneddoto ai nostri giorni. Si era pensato fin da subito che sarebbe stato necessario acquisire una serie di edifici preesistenti attraverso i quali passare realizzando un tunnel chiuso, non essendo possibile aggirare ogni costruzione del fitto tessuto urbano medievale. Il duca disponeva dei mezzi necessari e dell’autorità per imporre i propri voleri, e avrebbe potuto senza grande sforzo comprare case e torri, ma la famiglia dei Mannelli proprietaria della torre capo di ponte, una delle quattro a protezione del passaggio sull’Arno su ponte Vecchio, si rifiutò di venderla. Cosimo I deteneva il potere, grazie al quale avrebbe potuto confiscare la torre, eppure in quell’occasione dette prova di moderazione, dote in realtà non sua , e assecondò il volere dei Mannelli. Celebre divenne così la sua frase ‘Ognuno è padrone a casa sua’ con cui Cosimo chiosò la vicenda. Chiese al Vasari di trovare una soluzione alternativa, e l’uomo dalle mille risorse pensò bene di far fare al corridoio un mezzo giro della torre, seguendo il modello delle case a sporti con travi e beccatelli in pietra serena.

Durante la seconda guerra mondiale il corridoio fu utilizzato dai partigiani, tra i quali vi era anche la giovane Oriana Fallaci, poi famosa come scrittrice e giornalista. Erano per lei luoghi di nostalgiche memorie giovanili, quel vecchio ponte e la torre in cui avrebbe voluto passare gli ultimi giorni di vita. Espresse il desiderio, provata dalla lunga malattia, ma non fu possibile esaudirlo. Morì comunque nella sua Firenze, in clinica, nel 2006.

Devozione religiosa in Santa Felicita: il coretto per assistere alla messa 

Uscendo da case e torri d’Oltrarno, e mantenendo la sua posizione sopraelevata, il corridoio continua il suo percorso in direzione di palazzo Pitti passando sulla facciata della chiesa di Santa Felicita. Costruito su pilastri e arcati, si mimetizza bene nella piazzetta antistante la chiesa, e a un occhio poco attento passa quasi inosservato. Santa Felicita ha origini molto antiche: testimonia la presenza di una prima comunità cristiana stabilitasi in questo luogo della città antica intorno al IV secolo d. C., le cui tracce giunte fino a noi sono visibili nel portico laterale, per lo più lapidi con scritte in greco provenienti dal vecchio cimitero paleocristiano. L’edificio religioso era dedicato, e lo è tuttora, a una santa martire vissuta al tempo dell’imperatore Marco Aurelio. La chiesa ha subito numerosi rifacimenti nel tempo e presenta uno stile ibrido con elementi di ispirazione rinascimentale su progetto dell’architetto settecentesco Ferdinando Ruggeri. L’opera più famosa esposta a Santa Felicita è senz’altro la pala della Deposizione del Pontormo nella cappella Barbadori Capponi, recentemente restaurata in occasione della mostra tenutasi a palazzo Strozzi nel 2017. Per chi visita la chiesa suscita però altrettanto interesse il balcone in alto, nella controfacciata, da cui il granduca e la corte medicea assisteva alle celebrazioni liturgiche. Il coretto non era stato costruito dal Vasari, il quale aveva solo addossato all’esterno della chiesa il corridoio, senza collegare i due edifici, per poi farlo proseguire sotto forma di galleria chiusa all’interno delle case nell’approssimarsi  a palazzo Pitti. Fu il granduca Ferdinando I ad avere l’idea di collegare il corridoio alla chiesa, costruendo una tribuna, o coretto, e rendendovi possibile l’accesso attraverso l’apertura di una porta di collegamento sul corridoio, per assistere alle messe dall’alto, senza scendere e avvicinarsi ai fedeli, in questo spazio separato e privilegiato per la corte medicea. Santa Felicita entrò da allora di fatto nel novero delle chiese e santuari frequentati dai Medici per le loro quotidiane partecipazioni a eventi sacri. Ad oggi non esiste più la porta tra corridoio e coretto, essendo stata chiusa per la necessità di separare fisicamente i due diversi ambienti non avendo essi una gestione comune, ma abbiamo ancora la finestra protetta da grata, dalla forma stretta e allungata, che si affaccia dal corridoio al coretto e oltre nella navata fino all’altare, dalla quale puntualmente durante la visita al corridoio ci soffermiamo per raccontare la storia dei Medici in Santa Felicita.

Storia recente: il corridoio vasariano attraverso gli eventi drammatici del Novecento

Durante la seconda guerra mondiale il corridoio subì seri danni presso la torre dei Mannelli e su via dei Bardi, e furono necessari interventi di ricostruzione e consolidamento negli anni che seguirono. Con la battaglia di Firenze dell’agosto del 1944 tre ponti furono fatti saltare dall’esercito tedesco, nel tentativo di bloccare l’avanzata degli alleati, e solo all’ultimo si risparmiò il ponte Vecchio e dunque il corridoio vasariano al di sopra delle sue botteghe. Recentemente è stata pubblicata una storia rimasta sconosciuta in tutti questi anni, dalla guerra a oggi, che racconta di un fiorentino che avrebbe salvato il ponte Vecchio tagliando i fili delle mine. Lo chiamavano Burgasso; era storpio a causa della poliomelite, e lavorava per i gioiellieri del ponte con il compito di aprire e chiudere gli sporti delle vetrine. I tedeschi non badavano a lui, perché lo ritenevano stupido e innocuo, e non lo avevano allontanato nel mentre predisponevano l’esplosivo per far saltare il ponte. Si era sempre detto che era stato Hitler in persona a dare l’ordine di risparmiare il ponte, memore delle bellezze di Firenze, che aveva avuto modo di conoscere solo qualche anno prima in visita ufficiale con l’alleato Mussolini. Ma alcune storiche famiglie fiorentine di gioiellieri si ricordavano bene di Burgasso e hanno finalmente reso merito a questo piccolo eroe come colui che salvò il ponte Vecchio e il corridoio vasariano dalla distruzione.

Un evento tragico colpì Firenze nel maggio del 1993. Erano gli anni delle stragi di mafia, e Firenze non fu risparmiata. Un’esplosione devastante provocò il crollo della torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili, danneggiò gravemente l’ala di ponente del palazzo degli Uffizi e parte del corridoio vasariano. 277 kili di tritolo nascosti in un furgoncino parcheggiato nella stretta via dei Georgofili fecero cinque vittime e provocarono ingenti danni a edifici e opere d’arte. Durante le visite guidate al centro storico, noi guide turistiche accompagniamo spesso i visitatori attraverso via Lambertesca dal cortile degli Uffizi per raccontare questa drammatica storia degli anni recenti, e ci fermiamo davanti all’olivo e alle targhe commemorative in ricordo delle vittime. Quando visitavamo il corridoio parlavamo dell’accaduto proprio all’inizio della visita, perché scendendo dalla scalinata subito dopo l’accesso dagli Uffizi, ci si trova esattamente lì dove la bomba aveva causato i danni maggiori. La potenza dell’esplosione fu tale da polverizzare le finestre e danneggiare irrimediabilmente le tele lì esposte. In particolare le opere di Bartolomeo Manfredi, pittore caravaggesco, ‘Il Concerto’ e ‘I giocatori di carte’. Manfredi fu un fedele seguace dell’arte del Merisi, tanto che le sue opere erano state spesso in passato scambiate per quelle del maestro, e solo recentemente restituite al suo vero autore. Ciò è stato per la sua fortuna critica talvolta deleterio in quanto il Manfredi venne considerato un falsificatore di opere. Si era appassionato alle scene di genere, e i due quadri sopra menzionati ne sono un esempio. A lui era dedicata una sala all’interno del corridoio, le cui finestre  purtroppo si affacciano su via dei Georgofili. Dopo l’attentato ‘I giocatori di carte’ vennero tenuti in deposito, non essendo possibile recuperare in tempi brevi l’opera, e solo nel 2018 si è compiuto il meticoloso restauro magistralmente eseguito dalle abili mani di Daniela Lippi: la pittura era seriamente compromessa, con oltre 400 frammenti di colore, a lungo protetti da carta velina, ed è stato restaurato operando una trasposizione dell’originale su una nuova tela. Anche ‘Il conerto’ illustra una scena di genere: quando fu possibile riaprire il corridoio dopo l’attentato, venne esposto il quadro danneggiato accanto a una copia coeva ed era immediatamente evidente lo scempio compiuto dalla bomba.

Altro autore presente nel corridoio proprio in quel tratto presso via dei Georgofili era l’olandese Gherardo delle Notti, con la sua Adorazione dei pastori, quadro di notevoli dimensioni esposto sulla parete di un pianerottolo di fronte a un finestrone che l’esplosione distrusse completamente. L’opera venne così rovinosamente colpita. Proveniva dalla cappella Guicciardini in Santa Felicita, ed era stata eseguita nel 1619.

Il pittore si rese celebre per il suo sapiente uso di luci e ombre, raggiungendo effetti luministici sorprendenti studiati di notte al lume delle candele, cosa che gli valse il nome italianizzato di Gherardo delle Notti. Il granduca Cosimo II fu un appassionato ammiratore delle sue tele, e le acquistò numerose quando il pittore aveva bottega a Roma nel secondo decennio del Seicento. E’ il caso di ricordare che nel 2015 la galleria degli Uffizi propose una notevole mostra sul pittore olandese, intitolata ‘Quadri bizzarrissimi e cene allegre’, e che nell’attuale allestimento stabile del museo nella sezione sui caravaggeschi e la pittura del Seicento, realizzato dal direttore Eike Schmidt nel 2018, la sala ‘A lume di notte’ espone tra l’altro la sua Natività, uno dei suoi più famosi quadri, molto amato dai visitatori della galleria.

Amarcord: ricordi di visite guidate al corridoio vasariano 

Prima della chiusura nel 2016 il Corridoio vasariano era accessibile su prenotazione, e aveva un costo piuttosto esoso che si poteva ammortizzare solo con una visita di gruppo. Si trattava di una sorta di apertura straordinaria, durante la quale i visitatori venivano accompagnati non solo dalla guida ma anche dai custodi, che dovevano vigilare per tutto il  tempo, dal momento che le numerose opere esposte non erano dotate di alcuna protezione. L’accesso avveniva dal terzo corridoio della galleria degli Uffizi, al secondo piano dell’ala di ponente. Ci aspettava il custode all’orario stabilito, con il suo mazzo di chiavi apriva la porta e toglieva gli allarmi, e nel frattempo si creava aspettativa e sorpresa, e una certa compiacenza nel partecipare a un evento esclusivo vissuto quasi come un privilegio per pochi eletti. Ci si aspettava un’anticamera, un vestibolo, al di là di quella porta, e invece da lì partono subito i gradini della scalinata che porta ai pianerottoli dei piani inferiori, scendendo verso il livello del corridoio vero e proprio. Il primo tratto, lungo la scala, presenta il soffitto a volta dipinta, ma si tratta di una decorazione ottocentesca del periodo sabaudo, mentre tutto il resto del corridoio non ha alcuna decorazione parietale. Questo tratto non sarà probabilmente più visitabile, in quanto l’accesso al corridoio non avverrà più dal piano alto degli Uffizi, ma dal basso attraverso l’Auditorium Vasari.

Nel lungo tratto sul lungarno degli Archibusieri erano esposte le tele del XVII secolo, prevalentemente di scuola toscana, emiliana, napoletana e romana. Dai soggetti mitologici del Guercino e dell’Albani, alle nature morte del Recco, alle immagini devozionali del Sassoferrato, fino alle scene di genere e ai ritratti. Ci si soffermava sempre sul ritratto del cardinale Leopoldo dei Medici, di mano del Baciccio, eseguito poco dopo l’assunzione del porporato, e quando seppur non ancora vecchio il cardinale aveva la salute minata dalla malattia. Immagine intensa e languida, per l’espressione degli occhi lucidi e velati, rivestita di una vivida porpora dei paramenti sacri, resa alla perfezione dagli abili tocchi del pennello. Il cardinale Leopoldo, figlio del granduca Cosimo II dei Medici, dedicò molto del suo tempo alla collezione di oggetti d’arte. Pur non disponendo di ingenti somme, riusciva ad appropriarsi di opere di indubbio valore grazie ai suoi contatti, agenti e intermediari di fiducia, e soprattutto in virtù del suo gusto e fiuto per l’arte. Del resto era un Medici. 

La quadreria proseguiva con altre tele della stessa epoca, ma in fondo a questo tratto del corridoio, subito prima di svoltare a sinistra verso il ponte Vecchio, una breve sezione era dedicata alla pittura del Settecento. Qui noi guide mostravamo sempre i pastelli di Rosalba Carriera, pittrice di grande fama, richiestissima per i suoi ritratti dal tratto vaporoso e evanescente, luminosi e frizzanti; si raccontava la storia delle tre figlie del duca di Modena Rinaldo d’Este, di fronte ai loro ritratti a pastello su carta, ricordando che erano stati richiesti con lo scopo di trovar marito alle ragazze, e sconfinando nel gossip, si mostrava quello di Enrichetta, l’unica che alla fine si sposò davvero! Ad oggi i tre quadri si trovano in deposito, e speriamo che un giorno troveranno spazio in galleria.

Finalmente si giungeva al Ponte Vecchio. Il corridoio prosegue sulle botteghe degli orafi, le cui gioiellerie espongono nelle scintillanti vetrine gioielli preziosi e orologi di lusso, nella continuità di una tradizione e di un‘attività svolta da secoli e di cui ancora oggi restano degni maestri, custodi di antiche tecniche e abilità. Non a caso quindi era esposto proprio qui il quadro dipinto dall’Empoli che rappresenta Sant’Eligio, patrono degli orafi, nell’atto di presentare al re di Francia il trono per lui eseguito. Lo sfondo del dipinto è un’accurata rappresentazione della tipica bottega orafa del Cinquecento, con i suoi banchi di lavoro pieni di ceselli, stampi per la fusione, punte e spine, lenti e bulini. L’onestà di Sant’Eligio è il titolo dell’opera, e a  differenza di molti quadri al momento non esposti più e in attesa nei depositi di una futura collocazione nelle nuove sale degli Uffizi, questo quadro è visibile al primo piano nella sezione sulla pittura del Cinquecento ideata dal direttore Eike Schmidt ed inaugurata nel maggio del 2019.

Ad eccezione dell’opera dell’Empoli, tutte le altre esposte in questo tratto del corridoio, sul Ponte Vecchio, continuando fino a Pitti, facevano parte di un’unica omogenea collezione, la sola al mondo di questo genere, uno dei numerosi vanti di Firenze: la collezione di autoritratti, ideata dal cardinale Leopoldo, di cui abbiamo già parlato relativamente al suo ritratto. Il principe Medici Iniziò a commissionare autoritratti agli artisti che conosceva e che frequentavano la corte medicea. I primi furono Pietro da Cortona e il Guercino. Oppure comprava autoritratti già eseguiti. La collezione di famiglia contava probabilmente una quindicina di ritratti, ma con Leopoldo arrivò a un’ottantina di pezzi. Nei secoli che seguirono la collezione si arricchì di centinaia di pezzi, di cui solo una parte era esposta nel corridoio fino alla chiusura del 2016, mentre ad oggi si trova quasi interamente, a parte alcune opere visibili agli Uffizi, nei depositi, e aspettiamo di vederne una selezione in nuove sale della galleria che verranno aperte a breve.

Durante le visite guidate il tempo era limitato, e non bastava a descrivere neanche una decima parte della collezione. Dovevamo passare velocemente in rassegna i vari autoritratti, iniziando dai primi in ordine cronologico, vale a dire i pittori del Cinquecento, molti dei quali toscani e veneziani, e così via, i protagonisti del Barocco, italiani e stranieri, fino ai grandi nomi dell’Ottocento e infine i contemporanei del Novecento. Nomi celebri accanto a meno noti, ti sentivi addosso i loro sguardi. I pittori riuscivano a ritrarsi riflettendo la propria immagine allo specchio. Si connotavano spesso raffigurandosi con in mano gli strumenti del mestiere, tavolozza e pennelli, nell’atto di dipingere sulla tela, ma con l’occhio rivolto verso lo spettatore. L’abilità del ritrattista consiste nel cogliere la fisionomia e aspetti della personalità, fissando un istante di un particolare momento della propria vita, che sia di gioia o di incertezza, comunicare sensazioni e rivelare persino lati reconditi dell’animo. Alcuni autoritratti erano molto curiosi e insoliti, e a noi guide piaceva mostrarli, anche se non si trattava di pittori conosciuti. Il Cigoli con il suo pregiato cappello di pelliccia, il Dolci con l’aria malinconica segnata dal male della depressione, lo sguardo ammiccante di Luca Giordano dai capelli corvini e fluenti, un inedito Bernini in versione pittore con i lunghi baffi spavaldi. Facevamo fatica a descriverne alcuni, perché subito quello accanto catturava l’attenzione, e appena giunti agli affacci sulla città i visitatori sembravano quasi calamitati: alle finestre centrali di Ponte Vecchio, guardando in basso il monumento al Cellini, e di fronte l’Arno con il ponte Santa Trinita, e poi su via dei Bardi, e ancora attraverso la grata verso l’interno della chiesa di Santa Felicita.

Ci manca davvero la visita al corridoio vasariano. Sappiamo che un giorno non lontano potremmo tornarci, anche se sarà diverso da come lo avevamo lasciato. Ma siamo certi che il suo fascino resterà intatto, e che ritorneremo a sentirci privilegiati come ospiti per un giorno del duca dei Medici alla sua corte.